La libertà di “non convolare a nozze” o comunque di non formalizzare il rapporto affettivo tramite l’istituito registro delle unioni civili sconta ancora un caro prezzo per l’ipotesi, tutt’altro che remota, di cessazione volontaria ovvero a divinis della relazione fra i conviventi di fatto.
Autorevoli colleghi si prodigano per evidenziare la progressiva crescita della tutela del convivente di fatto ipotizzando che, ben presto, si giungerà ad una effettiva equiparazione circa la piena protezione da parte dell’ordinamento giuridico.
Perdonatemi: niente di men vero nel senso che, allo stato dell’arte, la coppia renitente alla formalizzazione del rapporto risulta ancora significativamente discriminata.
A mio sommesso parere più semplice affrontare l’elenco degli istituti giuridici in cui una piena parificazione si è realizzata dal trattare gli eventi a rilevanza giuridica in cui tale par condicio difetta.
Il convivente di fatto non ha diritto:
- a non essere tradito (non è previsto il dovere di fedeltà);
- all’assegno di mantenimento in caso di separazione a meno che le parti abbiano stipulato, pratica ad oggi ben poco diffusa, un contratto di convivenza tramite il quale il convivente economicamente più debole si garantisca in via preventiva una tutela economica per l’ipotesi tutt’altro che remota di cessazione dell’idillio;
- ad una quota di legittima alla morte dell’altro convivente;
- alla pensione di reversibilità.
Potremmo continuare nell’elencazione di disparità attualmente in essere, tuttavia ritengo maggiormente utile qualche approfondimento in merito all’ipotesi di tutela economica nel caso di morte del convivente di fatto.
Nello specifico non essendo il convivente di fatto erede legittimo, in difetto di testamento, non gli è riservata una quota del patrimonio. Teniamo presente che, pur essendosi ormai compiuto ¼ di giro del XXI secolo, la “cultura del testamento” rimane ancora un argomento di nicchia. Probabilmente in questo gioca anche l’animo fortemente scaramantico dell’italiano medio. Per prolungata esperienza professionale nella maggior parte dei casi in cui suggerisco al cliente l’opportunità di prevenire liti fra figli ossia evitare complesse comunioni ereditarie con un semplice e coinciso testamento olografo trovo puntualmente forte resistenza nonostante venga riconosciuta la bontà dello scopo.
Anche vincendo questa ritrosia verso la formalizzazione di disposizioni testamentarie, la tutela del convivente di fatto risulterà significativamente limitata per l’ipotesi in cui il convivente deceduto veda fra i familiari superstiti la presenza di uno o più legittimari. Poniamo l’ipotesi che vi siano più figli nati dalla convivenza o da un precedente matrimonio, in tal caso la quota disponibile che con disposizione testamentaria il convivente di fatto potrà validamente attribuire al partner che gli sopravvive non potrà eccedere la misura di 1/3 (art. 537 c.c.).
Non solo, mentre l’ex coniuge e, per analogia, il convivente unitosi civilmente con relativa registrazione dell’unione civile nell’apposito registro tenuto presso l’Anagrafe ha diritto ad abitare a vita l’immobile di proprietà o comproprietà del partner deceduto, la legge prevede un ben più esiguo diritto per il convivente di fatto. Egli infatti ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella casa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il convivente ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_9_17.page?tab=d).
Passando al tema della pensione di reversibilità, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8241 del 14 marzo 2022 ha stabilito l’impossibilità di accedere al trattamento previdenziale della pensione di reversibilità in mancanza di matrimonio, unione civile o convivenza riconosciuta dal comune. In altri termini, risulta necessaria una formalizzazione del rapporto.
Con espresso riferimento all’ipotesi di un convivente di fatto di partner deceduto prima dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016 n. 76 (legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze), la Corte di Cassazione ha chiarito e sottolineato come la suddetta legge non operi retroattivamente, escludendo la possibilità per il convivente superstite di percepire la pensione di reversibilità nell’ipotesi in cui la convivenza di fatto si sia costituita e sia cessata prima dell’entrata in vigore della legge 76/2016 (Cass. sent. 14 settembre 2021 n. 24694).
Da ultimo meritano un cenno le difficoltà per il convivente superstite anche nell’ipotesi di morte del convivente di fatto in seguito ad incidente stradale o comunque per fatto illecito di cui un terzo debba rispondere. Infatti, la Corte di Cassazione ha evidenziato la necessità di dimostrare, al fine di ottenere un risarcimento, lo stabile legame affettivo sussistente con il defunto desumendone l’alterazione delle condizioni esistenziali del superstite. La Corte ha sottolineato che la convivenza di fatto consiste in un “legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale [i partners]abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale”. Tale legame affettivo può essere, con ogni mezzo, provato al fine dell’ottenimento di un risarcimento del danno derivante da perdita della vita del convivente (Cass. sent. 13 aprile 2018 n. 9178) mentre in presenza di una formalizzazione del rapporto affettivo, ossia il vincolo matrimoniale o la registrazione della coppia nel registro delle unioni civili, opera una presunzione di legge che dispensa dall’onere probatorio.
In conclusione, ripetendo in altri termini il concetto già espresso nell’incipit, la “ribellione” a qualsiasi forma di pubblico controllo alla relazione sentimentale sconta il prezzo di una minor tutela da parte dell’ordinamento.