Segnalo una recente interessante pronuncia del Tribunale di Forlì il quale, in data 03/04/2023, si è pronunciato su una duplice azione di reintegrazione nel possesso e precisamente con riferimento allo spoglio di una servitù di passaggio nonché di uno spoglio riguardante una servitù di veduta.
Nel caso di specie, il ricorrente ha richiesto la condanna dei resistenti affinchè venisse loro ordinato di rimuovere manufatti realizzati senza il suo consenso e volti ad impedire l’affaccio sul fondo finitimo, così come il transito per giungere più comodamente alla via pubblica.
Nel resistere i convenuti contestano l’intervenuta decadenza in ordine alla azione di reintegra nel possesso della servitù di veduta sostenendo l’essere decorso più di un anno fra lo spoglio della veduta e la notifica dell’atto di reintegra del possesso.
Quanto alla realizzazione del manufatto volto ad impedire la preesistente servitù di passaggio in favore della ricorrente, i resistenti chiedono l’accertamento della regolarità della propria condotta essendo intervenuta scrittura fra le parti con cui la ricorrente autorizza il muretto di chiusura del passaggio rinunciando pertanto implicitamente all’esercizio di detta servitù. Parte ricorrente eccepisce la non validità del consenso essendo lo stesso viziato in quanto estorto con violenza e/o minaccia, pertanto annullabile la relativa manifestazione di volontà.
Occorre a questo punto evidenziare come lo spoglio violento o clandestino ex art. 1168c.c. debba presentare tanto un requisito oggettivo quanto un requisito soggettivo: il primo coincide con la privazione totale o parziale del possesso o della detenzione di un bene in modo permanente o quantomeno continuativo per causa imputabile al comportamento del soggetto agente. Quanto al requisito soggettivo esso consiste nel c.d. animus spoliandi che consiste nella consapevolezza in capo all’autore dello spoglio di sovvertire, con il proprio agire, una situazione possessoria contro la volontà del possessore privandolo così della signoria sulla cosa.
All’esito dell’istruttoria il tribunale respinge l’eccezione di decadenza in merito all’azione di spoglio in quanto non provato dai resistenti il decorso di oltre un anno dalla notifica dell’atto introduttivo rispetto al giorno al quale viene fatto risalire lo spoglio. Quanto alla richiesta di reintegra nel possesso della servitù, la stessa viene dal tribunale respinta in quanto tramite l’assunzione di numerose prove testimoniali è emerso come la ricorrente avesse chiamato le Forze dell’Ordine in quanto era insorta una lite fra la medesima e le resistenti che avevano chiuso la servitù.
Tuttavia in quel contesto, ossia alla presenza di agenti di polizia e di altre persone, la ricorrente si era impegnata con scrittura privata a chiudere il confine entro due mesi, pertanto il tribunale ha rigettato tale domanda di reintegra ritenendo difettasse il requisito della violenza o clandestinità ed alla eccezione della ricorrente di aver prestato un consenso viziato per esservi stata costretta da un atteggiamento estremamente minaccioso, il giudicante ha ritenuto non plausibile ed accoglibile tale doglianza, ritenendo che grazie alla presenza delle Forze dell’Ordine non poteva essersi verificata una situazione tale da coartare la di lei volontà.
Questa decisione è stata fatta oggetto di reclamo dalla ricorrente per cui all’esito dello stesso mi riservo di aggiornare e integrare il presente articolo che ritengo possa essere di qualche interesse per i lettori alla luce della sempre più frequente litigiosità tra confinanti ed alla tendenza delle parti interessate a “farsi giustizia” da soli anziché rivolgersi all’Autorità.